Le proto-industrie
Scheda
Nome | Descrizione |
---|---|
Punto di partenza | La Fornace, via Cresto |
Punto di arrivo | Irem, via Rocciamelone |
Lunghezza | 5 km circa |
Tempo percorrenza | 90 minuti circa |
Grado di difficoltà | Basso |
Protoindustrie e industrie
La fornace
In questa fornace, ancora nel terzo decennio del Novecento, si produceva la calce per l’industria edile del territorio. Le pietre calcaree erano estratte in una cava in regione Rubiana, a circa mille metri di altitudine su questo versante e trasportate qui con una teleferica. Un tempo, ma la produzione non era di tipo industriale, le pietre erano cotte in zona e trasportate a valle con slitte di legno (léze). La fornace ha una struttura circolare molto spessa in pietra a degradare verso il camino di areazione in mattoni, alla base c’è il forno di cottura dal diametro di circa due metri. Le operazioni di cottura potevano durare 24-30 ore a seconda del carico, il fuoco veniva alimentato giorno e notte e raggiungeva la temperatura di circa 1.000 gradi Celsius. La calce ottenuta dalla cottura andava raffreddata in apposite vasche e caricata in sacchi, con ulteriore aggiunta di acqua si otteneva il grassello utilizzato come malta sui muri, mescolata con abbondante acqua si ricavava invece una vernice impiegata per disinfettante e imbiancare i muri. Dal 1960 l’edificio è di proprietà privata.
La fornace
In questa fornace, ancora nel terzo decennio del Novecento, si produceva la calce per l’industria edile del territorio. Le pietre calcaree erano estratte in una cava in regione Rubiana, a circa mille metri di altitudine su questo versante e trasportate qui con una teleferica. Un tempo, ma la produzione non era di tipo industriale, le pietre erano cotte in zona e trasportate a valle con slitte di legno (léze). La fornace ha una struttura circolare molto spessa in pietra a degradare verso il camino di areazione in mattoni, alla base c’è il forno di cottura dal diametro di circa due metri. Le operazioni di cottura potevano durare 24-30 ore a seconda del carico, il fuoco veniva alimentato giorno e notte e raggiungeva la temperatura di circa 1.000 gradi Celsius. La calce ottenuta dalla cottura andava raffreddata in apposite vasche e caricata in sacchi, con ulteriore aggiunta di acqua si otteneva il grassello utilizzato come malta sui muri, mescolata con abbondante acqua si ricavava invece una vernice impiegata per disinfettante e imbiancare i muri. Dal 1960 l’edificio è di proprietà privata.
Il setificio Gaudin
La proposta di Eugenio Gaudin, industriale torinese di origini francesi da anni impegnato nel settore tessile, di costruire un “grande setificio” a Sant’Antonino giunge all’amministrazione comunale nell’aprile del 1872. I termini dell’accordo sono chiari: il Comune concede al Gaudin il diritto di posizionare una ruota a pale sul Canale Cantarana per ricavarne forze motrice, di costruire uno stabilimento (il basso fabbricato ora ad uso abitazione) per la lavorazione della seta e un incentivo di 10mila lire pagabili in 12 rate annue. Il Gaudin, dal canto suo, si impegna ad assumere 100 operai residenti a Sant’Antonino – cosa che farà a partire da luglio 1873 – e a non arrecare danno agli altri utenti del Canale. L’industria gode di ottima salute fino al 1880 con una media di operai superiore a quella pattuita. Nel 1885 muore il Gaudin e l’attività passa a Proton de la Chapelle che ne è proprietario fino al 1907 ma ne affida la gestione ad Eugenio Genicond, socio della Ditta Raffar et Chassignol attiva in Lione, poi alla Ditta Giorelli e Bruno di Torino ed infine al setificio Mazancieux tra il 1892 e il 1904. Mediamente vi lavorano tra gli 80 e i 120 operai con una netta prevalenza femminile. Nel 1907 l’opificio passa alla “Società Anonima Cotonificio Valle di Susa” di qui il toponimo ou Filatour . Nel secondo decennio del Novecento lo stabilimento dismette questo impianto e gli spazi diventano di civile abitazione. Nell’ampio cortile a sinistra si può ancora ammirare il magazzino per il primo trattamento dei bachi da seta.
La proposta di Eugenio Gaudin, industriale torinese di origini francesi da anni impegnato nel settore tessile, di costruire un “grande setificio” a Sant’Antonino giunge all’amministrazione comunale nell’aprile del 1872. I termini dell’accordo sono chiari: il Comune concede al Gaudin il diritto di posizionare una ruota a pale sul Canale Cantarana per ricavarne forze motrice, di costruire uno stabilimento (il basso fabbricato ora ad uso abitazione) per la lavorazione della seta e un incentivo di 10mila lire pagabili in 12 rate annue. Il Gaudin, dal canto suo, si impegna ad assumere 100 operai residenti a Sant’Antonino – cosa che farà a partire da luglio 1873 – e a non arrecare danno agli altri utenti del Canale. L’industria gode di ottima salute fino al 1880 con una media di operai superiore a quella pattuita. Nel 1885 muore il Gaudin e l’attività passa a Proton de la Chapelle che ne è proprietario fino al 1907 ma ne affida la gestione ad Eugenio Genicond, socio della Ditta Raffar et Chassignol attiva in Lione, poi alla Ditta Giorelli e Bruno di Torino ed infine al setificio Mazancieux tra il 1892 e il 1904. Mediamente vi lavorano tra gli 80 e i 120 operai con una netta prevalenza femminile. Nel 1907 l’opificio passa alla “Società Anonima Cotonificio Valle di Susa” di qui il toponimo ou Filatour . Nel secondo decennio del Novecento lo stabilimento dismette questo impianto e gli spazi diventano di civile abitazione. Nell’ampio cortile a sinistra si può ancora ammirare il magazzino per il primo trattamento dei bachi da seta.
Il Mulino Cantarana
L’area è delimitata da un alto muro perimetrale, la prima traccia certa dell’esistenza di un mulino è data da un documento del 1552 che riferisce della proprietà – il prevosto della chiesa maggiore – e dell’attività di molitura del frumento, ma è ragionevole pensare che la costruzione del canale abbia radici più antiche forse già nel XIV secolo. È certo che ad inizio dell’Ottocento, accanto all’attività di molitura, vi era una fucina per la lavorazione del ferro e che gli impianti furono sfruttati per attività industriali nella seconda metà dell’Ottocento per una fabbrica di posate da Domenico Gilli nel 1873, divenuto poi opificio per la torcitura del lino dei Fratelli Lanza nel 1876, Lanificio Francesco Forno nel 1889, Cotonificio Lorenzo Rondi nel 1927 ed infine Industria per apparecchiature elettromeccaniche Rondi. Da un paio di decenni gli impianti sono dismessi, funziona ancora però la turbina per la produzione di energia idroelettrica.
La Irem
Industria raddrizzatori elettromeccanici (IREM) è stata fondata da Mario Celso (Sant’Antonino, 1.3.1907- 10.7.1994), pochi sanno che diede un grande contributo all’innovazione tecnologica applicata al cinema, tanto da meritarsi, nel 1992, il premio Oscar Scientific Technical Award.
Il primo raddrizzatore di corrente per archi a carbone fu sperimentato nel cinema di Sant’Antonino ed ottenne il brevetto il 2 aprile 1947. L’affermazione del cinema negli anni 1940 - 1950 costrinse Celso e la IREM ad un duplice sforzo: da un lato tenere testa alle richieste del mercato e dall’altro lato inseguire, e se possibile anticipare, l’innovazione tecnologica. Nel 1966 Celso sviluppò il primo accenditore per lampade allo Xenon da usarsi con un alimentatore per le applicazioni scientifiche portando la Irem ai vertici mondiali della progettazione, costruzione e distribuzione di sistemi di alimentazione usati nelle proiezioni cinematografiche e di illuminazione. L’anno successivo divenne membro del Society of Motion Picture and Television Engineers. L’apice della sua carriera professionale Celso la coglie il 13 dicembre del 1991, quando nell’ufficio vendite della Irem giunge un fax dagli Stati Uniti: era Karl Malden, Presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che comunicava a Mario Celso l’assegnazione dell’Oscar Scientific –Technical Award per la carriera. Un omaggio “a Celso e al suo lavoro pioneristico nel progetto, nello sviluppo e nella produzione di apparecchi per l’alimentazione degli archi a carbone, delle lampade Xenon e per gli accenditori usati nella produzione cinematografica” dirà Tom Hanks in occasione della consegna del premio nella tradizionale cornice di eleganza e mondanità del Century Plaza Hotel di Los Angeles la sera del 7 marzo 1992.
La Ghiacciaia Casasco in località Mareschi
Il ghiaccio, come il sale e il fumo, ha rappresentato uno dei metodi migliori, e in molti casi l'unico, per la conservazione degli alimenti, in particolare delle carni e dei prodotti caseari freschi, più recentemente per produrre gelati e conservare bevande. Questo utilizzo è antichissimo: già nel IV secolo a. C. si conservava il ghiaccio in profonde buche ricoperte da arbusti e terriccio. La produzione del ghiaccio naturale in Piemonte è documentata dal XVII secolo agli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, soppiantata prima dalla scoperta e dall'utilizzo del ghiaccio artificiale e successivamente dai frigoriferi domestici. Nel territorio di Sant’Antonino esistevano altre tre ghiacciaie, una nella frazione Codrei, una sulla strada che porta al Cresto poco oltra la Fornace e una più piccola nel cortile dell’abitazione e magazzino della famiglia Casasco in via Verdi: famiglia che era proprietaria di un negozio per il commercio dei vini e di una caffetteria. Questa che vedete è costituta da una struttura circolare in pietra con una cupola in mattoni pieni alta oltre tre metri e un vano accessibile attraverso una scala a pioli. Il ghiaccio si produceva due volte l’anno in una vasca costruita a lato della struttura deviando il corso del Rio Concetto, veniva tagliato a blocchi e conservato nella ghiacciaia. L’ultimo venditore di ghiaccio (Fransuà) esercitava per conto di Casasco Vini ancora negli anni Quaranta del secolo scorso.
L’area è delimitata da un alto muro perimetrale, la prima traccia certa dell’esistenza di un mulino è data da un documento del 1552 che riferisce della proprietà – il prevosto della chiesa maggiore – e dell’attività di molitura del frumento, ma è ragionevole pensare che la costruzione del canale abbia radici più antiche forse già nel XIV secolo. È certo che ad inizio dell’Ottocento, accanto all’attività di molitura, vi era una fucina per la lavorazione del ferro e che gli impianti furono sfruttati per attività industriali nella seconda metà dell’Ottocento per una fabbrica di posate da Domenico Gilli nel 1873, divenuto poi opificio per la torcitura del lino dei Fratelli Lanza nel 1876, Lanificio Francesco Forno nel 1889, Cotonificio Lorenzo Rondi nel 1927 ed infine Industria per apparecchiature elettromeccaniche Rondi. Da un paio di decenni gli impianti sono dismessi, funziona ancora però la turbina per la produzione di energia idroelettrica.
La Irem
Industria raddrizzatori elettromeccanici (IREM) è stata fondata da Mario Celso (Sant’Antonino, 1.3.1907- 10.7.1994), pochi sanno che diede un grande contributo all’innovazione tecnologica applicata al cinema, tanto da meritarsi, nel 1992, il premio Oscar Scientific Technical Award.
Il primo raddrizzatore di corrente per archi a carbone fu sperimentato nel cinema di Sant’Antonino ed ottenne il brevetto il 2 aprile 1947. L’affermazione del cinema negli anni 1940 - 1950 costrinse Celso e la IREM ad un duplice sforzo: da un lato tenere testa alle richieste del mercato e dall’altro lato inseguire, e se possibile anticipare, l’innovazione tecnologica. Nel 1966 Celso sviluppò il primo accenditore per lampade allo Xenon da usarsi con un alimentatore per le applicazioni scientifiche portando la Irem ai vertici mondiali della progettazione, costruzione e distribuzione di sistemi di alimentazione usati nelle proiezioni cinematografiche e di illuminazione. L’anno successivo divenne membro del Society of Motion Picture and Television Engineers. L’apice della sua carriera professionale Celso la coglie il 13 dicembre del 1991, quando nell’ufficio vendite della Irem giunge un fax dagli Stati Uniti: era Karl Malden, Presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che comunicava a Mario Celso l’assegnazione dell’Oscar Scientific –Technical Award per la carriera. Un omaggio “a Celso e al suo lavoro pioneristico nel progetto, nello sviluppo e nella produzione di apparecchi per l’alimentazione degli archi a carbone, delle lampade Xenon e per gli accenditori usati nella produzione cinematografica” dirà Tom Hanks in occasione della consegna del premio nella tradizionale cornice di eleganza e mondanità del Century Plaza Hotel di Los Angeles la sera del 7 marzo 1992.
La Ghiacciaia Casasco in località Mareschi
Il ghiaccio, come il sale e il fumo, ha rappresentato uno dei metodi migliori, e in molti casi l'unico, per la conservazione degli alimenti, in particolare delle carni e dei prodotti caseari freschi, più recentemente per produrre gelati e conservare bevande. Questo utilizzo è antichissimo: già nel IV secolo a. C. si conservava il ghiaccio in profonde buche ricoperte da arbusti e terriccio. La produzione del ghiaccio naturale in Piemonte è documentata dal XVII secolo agli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, soppiantata prima dalla scoperta e dall'utilizzo del ghiaccio artificiale e successivamente dai frigoriferi domestici. Nel territorio di Sant’Antonino esistevano altre tre ghiacciaie, una nella frazione Codrei, una sulla strada che porta al Cresto poco oltra la Fornace e una più piccola nel cortile dell’abitazione e magazzino della famiglia Casasco in via Verdi: famiglia che era proprietaria di un negozio per il commercio dei vini e di una caffetteria. Questa che vedete è costituta da una struttura circolare in pietra con una cupola in mattoni pieni alta oltre tre metri e un vano accessibile attraverso una scala a pioli. Il ghiaccio si produceva due volte l’anno in una vasca costruita a lato della struttura deviando il corso del Rio Concetto, veniva tagliato a blocchi e conservato nella ghiacciaia. L’ultimo venditore di ghiaccio (Fransuà) esercitava per conto di Casasco Vini ancora negli anni Quaranta del secolo scorso.